Il tempo per chi ha un figlio con disabilità sembra sempre scadere domani. Che abbia un bambino o un ragazzo già adulto, gli anni sono un campo minato di incertezze, bisogni e diritti ai quali è spesso inutile appellarsi. Il giorno più difficile per lui è sempre quello dopo. Perché prima o poi arriverà quel “giorno dopo” in cui suo figlio resterà solo. Vulnerabile. Indifeso. Uscire per tempo da questa condizione di solitudine e trovare chi si batterà al suo posto è la sola via d’uscita. 

A Claudio è successo di imboccarla quando ormai si sentiva perso. 

“Un giorno mia moglie, la madre di Stefano, muore all’improvviso – racconta-. Io resto da solo con i miei due ragazzi. Stefano con le sue terapie, io impegnato con il lavoro, la carriera: la mia vita cambia”. Il percorso verso la consapevolezza è stato lungo.

 

“All’inizio, come tutti i padri, io pensavo che stare sempre a contatto con Stefano, un ragazzo di quasi 30 anni che dormiva con me, fosse la cosa più giusta, finché non incontro una responsabile di un centro che mi dice: suo figlio ha bisogno della sua autonomia. A lungo io mi sono autoflagellato perché avevo perso tempo”.

Oggi suo figlio è già grande, ha quarant’anni, ma non abita più con lui. Vive nel quartiere Magliana di Roma, insieme ad altri giovani con disabilità. 

Dal quartiere il progetto è stato ben accolto e si è creata collaborazione e solidarietà attorno alla cooperativa E.c.a.s.s., da tempo associata a Legacoop Lazio, che ha creato, negli anni della riforma basagliana, questo progetto di coabitazione mirato a riabilitare e reinserire chi ha la fortuna di vivere in questi due appartamenti.  

Gestire sé stessi e una casa, rispettare una routine, assumere quando necessario la terapia secondo prescrizione, conoscere la città e prendere i mezzi in autonomia ma anche frequentare centri di formazione professionale e possibilmente anche andare a lavoro: offrire la possibilità di una vita normale è l’obiettivo principale.

“E’ molto bello vedere questi giovani, e con loro gli operatori, che insieme magari visitano un mercatino o vanno a vedere un monumento: questa è la vita di questi ragazzi. E gli operatori sono le persone che estendono, dal punto di vista affettivo ma anche medico, le loro capacità” commenta Claudio.

“Quando Stefano viene a trovarmi, prima di tornare a casa sua mi dice: papà, non preoccuparti perché io torno” spiega commosso.

A Claudio è stato diagnosticato un cancro.

“Un giorno, come è giusto, io dovrò morire: sapere che ci sono delle persone che si occupano di mio figlio è un sollievo” racconta.

Eppure, le case come quella in cui vive suo figlio, che in burocratese si chiamano ‘microstrutture residenziali’, nel tempo hanno rischiato di essere tante volte sacrificate ai grandi numeri e all’economia di scala. “Ma stare in un piccolo gruppo con delle regole che puoi acquisire e apprendere è di per sé riabilitativo e consente inoltre di avere un rapporto personalizzato- spiega Massimo Sala, presidente della cooperativa sociale-. Noi ci crediamo e resisteremo. Non a caso, riuscimmo noi a fare inserire nelle varie regole della Regione Lazio che potevano esistere le microstrutture”. “Giusto preservare queste realtà nate dalla grande esperienza delle cooperative nel Lazio e riconoscerne il valore progettuale per la società: è necessario investire di più su queste iniziative che, se incentivate, consentirebbero anche alla sanità pubblica di risparmiare” commenta Mauro Iengo, presidente Legacoop Lazio. “L’impatto sociale che questi progetti possono avere sulle comunità è prezioso e le Pubbliche Amministrazioni devono tenere in considerazione che va moltiplicato non solo per i beneficiari ma anche per i loro famigliari” conclude Anna Vettigli, referente Legacoopsociali Lazio.